L’epica stagione del volo prima del raid Roma – Tokyo
L’epoca delle trasvolate e dei raid eroici era già stata inaugurata da qualche anno. Correva l’anno 1911 e il tassista genovese Ciro Cirri decise di dedicarsi alla costruzione di un aereo nel suo scantinato. Dopo aver ottenuto il brevetto presso la scuola di Cameri – in provincia di Novara – cominciò a dedicarsi alla sua carriera da aviatore. Purtroppo i velivoli erano ancora allo stato primordiale e i pericoli erano sempre dietro l’angolo. Difatti, l’ex tassista perì il 28 maggio 1911 a causa di un’avaria al suo velivolo.
Da lì in poi si iniziarono a scrivere interi libri sulle imprese aeronautiche compiute dai nostri connazionali. Durante lo stesso anno nel quale Cirri perse la vita, in terra libica si stava combattendo la guerra italo-turca. Fu proprio in occasione di questo conflitto che l’Italia cominciò a sperimentare le tattiche di ricognizione e bombardamento tramite l’utilizzo di velivoli. I risultati non furono eccelsi, ma in Italia si cominciò ad avvertire il bisogno di possedere un’aeronautica forte e pronta a dare battaglia contro chiunque.
L’Aeroclub d’Italia lanciò la sottoscrizione “Date ali alla patria“. Essa permise di raccogliere intorno alle 3 milioni di lire, le quali diedero vita ad una quindicina di squadroni per un totale di 150 aerei. Con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, le industrie aeronautiche triplicarono insieme al numero di operai addetti alla costruzione delle carene e dei motori ad elica. Questi grandi sforzi permisero al mito dell’aviatore di poter finalmente decollare.
Difatti, come potremo mai dimenticarci del mitico cavallino rampante di Francesco Baracca o del teschio nero di Fulco Ruffo di Calabria? Altresì sono inobliabili i motti dannunziani “Senza cozzar dirocco” e “Donec ad metam“, i quali sono dedicati allo squadrone di bombardieri di Gianni Caproni e all’impresa sopra i cieli di Vienna. Sarà proprio il Vate a organizzare il raid Roma – Tokyo.
La preparazione del raid Roma – Tokyo
“Sull’Ala Tricolore i piloti italiani portarono al Popolo del Sole Levante il caldo saluto del Popolo d’Italia“. Codesto messaggio venne riportato su una cartolina celebrante il raid Roma – Tokyo compiuto dai due biplani pilotati da Arturo Ferrarin e Guido Masiero. Il primo pensiero a questa impresa lo fece Gabriele D’Annunzio insieme ad Haru-Kichi-Shimoi, scrittore nipponico che all’epoca insegnava all’istituto di Lettere Orientali di Napoli.
Il Vate consegnò il progetto alla Direzione Generale dell’Aeronautica, ma in sede di discussione venne riportata qualche variazione. L’impresa doveva essere compiuta da due squadroni: il primo composto da cinque caccia SVA 9, il secondo da quattro bombardieri Caproni pilotati da valorosi aviatori di guerra.
La partenza avvenne l’8 gennaio 1920 dall’aeroporto romano di Centocelle con il decollo dei bombardieri Caproni. L’ultimo decollò il 2 febbraio, ma nessuno di essi oltrepassò il confine siriano. Neanche i caccia SVA 9 riuscirono nell’impresa di andare oltre le terre mediorientali.
È qui che entra in scena Arturo Ferrarin, valoroso aviatore della 82° Squadriglia Caccia. Insieme al biplano di Masiero, Ferrarin decise di decollare il 14 febbraio 1920, alle ore 11:00, dall’aeroporto romano di Centocelle. Ha inizio il raid Roma – Tokyo: 18.000 km in 112 ore di volo.
Tutta il raid minuto per minuto
Gli equipaggi erano composti dai piloti Arturo Ferrarin e Guido Masiero con i rispettivi motoristi Gino Cappannini e Roberto Maretto. Il caccia SVA, già utilizzato per la mitica impresa di Vienna, era un velivolo davvero periclitante per un raid del genere. L’abitacolo aperto esponeva alle intemperie i piloti, il radiatore non era adatto alle temperature tropicali, non c’era una radio a bordo e la velocità si manteneva tramite i sensi del pilota.
Dopo uno scalo a Gioia del Colle, i biplani raggiunsero Valona il 17 febbraio. Salonicco, Aidin, Adalia, Aleppo, Baghdad, Bassora, Bushir, Bandar-Abass e Ciaubar sono alcune delle tappe compiute dagli eroici aviatori. I due velivoli dovettero separarsi ad Adalia a causa di alcuni problemi tecnici e meteorologici, salvo poi incontrarsi nuovamente a Karachi. Da lì in poi viaggeranno nuovamente separati incontrando altre mille difficoltà. Ferrarin ruppe il carrello, mentre Masiero distrusse il velivolo ribaltandosi durante il decollo.
Pertanto, Masiero dovette prendere un treno per raggiungere un SVA di scorta a Calcutta. Durante il sorvolo della Cina, l’equipaggio di Ferrarin non ebbe alcun problema, mentre Masiero distrusse il secondo velivolo investendo un albero. Lo sfortunato aviatore fu costretto a dover prendere la nave per raggiungere il secondo SVA di scorta, questa volta immagazzinato a Shangai.
Ferrarin e Cappannini continuarono il volo da soli e, dopo una settimana di festeggiamenti ricevuti a Shangai, l’8 maggio raggiunsero Tsingtao, poi il giorno 24 Pechino, dove anche qui l’accoglienza fu straordinaria, e infine Seoul dove si riunirono con l’equipaggio di Masiero. Il volo proseguì dopo una breve sosta a Osaka e il 31 maggio i due SVA giunsero a Tokyo.
Le celebrazioni nipponiche per il successo del raid
Masiero raggiunse Tokyo per primo, mentre Ferrarin arrivò soltanto un’ora dopo. Ad attenderli c’era una folla oceanica composta da 200.000 persone festanti. Si erano ammassate con gioia per vedere arrivare i primi velivoli dalla lontana Europa. Per celebrare l’impresa vennero istituiti 42 giorni di festa, culminati con il ricevimento ufficiale degli aviatori italiani al Palazzo Imperiale.
Il raid Roma – Tokyo fu un’impresa eccezionale, considerati i tempi e le ancora primitive tecnologie utilizzate sui velivoli. L’impresa ha permesso l’affermazione dell’industria aeronautica italiana in tutto il mondo. Difatti, il velivolo SVA e il motore SPA, così come i materiali, la tela delle ali e i bulloni erano di produzione italiana. Per ricordare degnamente questa mitica impresa, il Museo Imperiale delle Armi di Osaka ospitò lo SVA di Ferrarin.
Purtroppo, il secondo conflitto mondiale spazzò via sia il Museo Imperiale che il caccia SVA.
La tradizione non si fermò di certo con questo raid Roma – Tokyo. Anzi, sempre più persone si avvicinarono a questo mondo. Uno fra tutti fu Italo Balbo, quadrumviro della marcia su Roma, comandante generale del MVSN e sottosegretario all’economia nazionale durante il periodo del Ventennio.
L’aviazione era considerata negli anni 30 come un’accattivante espressione di modernità e costituì un elemento fondamentale per l’universo simbolico fascista. Le grandi imprese aeree ed i primati aeronautici si rivelarono infatti alcuni fra i principali canali di manifestazione del potere totalitario, metafore del carisma emanato dal Duce. Alla fine del 1926 la nomina di Italo Balbo a capo del Ministero dell’Aeronautica, con competenze sia militari che civili, costituì una significativa svolta nella politica dell’aviazione italiana: dai raid verso l’Oriente si passò alle trasvolate verso l’Occidente.
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