La strada del lockdown
La strada del lockdown è stata seguita da molti governi mondiali, ma i risultati ottenuti sono differenti per ciascuno Stato. Nelle prime settimane abbiamo sentito parlare del “Modello Italia” come il punto di riferimento per il resto del mondo nella lotta al Covid-19 e in parecchi erano sicuri che il nostro modello sarebbe stato adottato da tutti. Ciò è in larga parte avvenuto, ma i risultati del suo effettivo successo li potremo avere soltanto al termine della pandemia.
Come si evince dai dati nazionali, la situazione italiana è critica e la sequenza di errori commessi dal governo e dalle autorità sanitarie è sotto gli occhi di tutti. Lo scorso 3 aprile si è discusso all’interno di questo articolo delle denunce da parte di due avvocati italiani e di Harvard all’applicazione errata e tardiva del “Modello Italia“. Secondo l’università americana il governo Conte ha adottato delle soluzioni parziali in base all’andamento del virus, così da creare scompiglio.
Bisognava invece propendere per delle soluzioni sistematiche e simultanee per impedire la fuoriuscita del virus dai focolai apertisi nel nord Italia. Non era necessario guardare al costo politico del provvedimento emergenziale, bensì agli effetti di lungo termine dello stesso. Prevenzione e risposta devono andare di pari passo. Non sono state prese adeguate misure per identificare, monitorare e isolare i pazienti contagiati e non è stata garantita la sicurezza degli operatori sanitari, trasformando gli ospedali in bombe biologiche.
La differenza tra il “Modello Veneto” e il resto d’Italia
La differenza tra il “Modello Veneto” e il resto d’Italia si evince da alcuni caratteri peculiari il contenimento dei danni. Mentre il lockdown è stato deciso da Roma, la gestione sanitaria è stata organizzata dalle regioni. L’analisi dei tamponi, la conduzione di ospedali e case di riposo e la protezione degli operatori sanitari è stata appannaggio delle regioni, Veneto in primis.
Le ragioni del successo del “Modello Veneto” sono parecchie. Innanzitutto la disponibilità di reagenti: il Veneto ha 4,9 milioni di abitanti ovvero la metà della Lombardia, ma i tamponi effettuati sono praticamente gli stessi. Ciò ha permesso di ottenere dei dati più veritieri. A Vo’ Euganeo, paesino in provincia di Padova, si è creato un laboratorio a cielo aperto per lo studio del virus. Grazie ad esso si è evinto come gli asintomatici possono trasmettere il virus.
Il coinvolgimento degli esperti è stato immediato. Difatti su loro impulso la regione Veneto ha acquistato numerosi reagenti per testare l’intera popolazione di Vo’. Inoltre si è preferito lasciare a casa i pazienti meno gravi, onde evitare il sovraffollamento dei nosocomi. È innegabile la presenza di fattori accidentali come la densità abitativa, ma ciò non toglie alcun merito al “Modello Veneto“.
Le polemiche sull’autoritarismo regionale
Le polemiche sull’autoritarismo regionale sono provenute, principalmente, dal premier Conte. Difatti quest’ultimo aveva minacciato di revocare le competenze in materia sanitaria alle regioni “non schierate“, le quali avrebbero preferito optare per dei percorsi alternativi. Si potrebbe di certo obiettare sul fatto che alcune regioni sono state travolte, mentre altre si sono salvate. Ciò che è mancata in Italia è stata una risposta univoca e coordinata all’emergenza sanitaria.
Queste deviazioni hanno fatto sì che il “Modello Veneto” potesse ergersi come il migliore in mezzo al marasma italiano. In mezzo alla bailamme creatasi, il rappresentante italiano all’Oms Walter Ricciardi aveva criticato le scelte di Zaia a proposito dei test somministrati agli asintomatici.
“Si rischia di creare soltanto allarmismo e confusione” diceva Ricciardi il 27 febbraio. Soltanto venti giorni dopo, lo stesso Ricciardi, ha twittato un messaggio opposto a quello lanciato verso la fine di febbraio: “Un semplice messaggio per tutti i paesi: test, test,test. Fate il test ad ogni caso sospetto di Covid-19“. Contraddizioni su contraddizioni.
Ad esse si aggiungono le dirette Facebook notturne del duo Conte – Casalino, i Dpcm “ad interpretationem“, la bozza del decreto non ancora approvato che ha scatenato un esodo di massa verso il Sud, lo stato d’emergenza proclamato per il 31 gennaio e la lunga attesa per un provvedimento. Dunque in che modo questo governo avrebbe saputo prendere decisioni migliori delle regioni in materia sanitaria?
Sul “Modello Veneto” se ne sono scritte e dette tante. Si è cercato di scaricare sulle regioni tutta la responsabilità di una Caporetto nazionale, quando i migliori risultati sono arrivati proprio da quei territori. Grazie a queste decisioni, il Veneto si è ritagliato una grande fetta di autonomia, affidandosi alla ricerca locale e anticipando misure che altrove sono arrivate in netto ritardo.
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