L’arte della propaganda
La storia è scritta dai vincitori. Questo paradigma affonda le sue radici nella storia millenaria dell’uomo. Dalla battaglia di Qadesh fino alla recente guerra in Siria, la narrazione degli eventi è sempre stata appannaggio dei vincitori. I vinti, oltre all’onta della sconfitta, saranno costretti a subire l’imposizione di una verità soggettiva, la quale sarà sempre parecchio lontana dalla verità storica dei fatti.
Basti pensare agli “Annales Regni Francorum” scritti da un autore ignoto, i quali sono stati revisionati dallo stesso Carlo Magno. Difatti il primogenito di Pipino il Breve pose la sua attenzione sulla formazione e sulla redazione della memoria storica della sua dinastia. Altri esempi storici possono essere ritrovati nella narrazione della battaglia di Poitiers del 732, la quale divenne leggendaria grazie alla propaganda imposta da Carlo Martello; oppure nello scontro avvenuto a Lepanto nel 1571.
Entrambi gli scontri ebbero una notevole importanza a livello strategico, ma in realtà si trattò di schermaglie poco rilevanti per il conseguo di un effettivo successo nelle rispettive guerre. L’esempio forse più vicino a noi – visti gli ultimi avvenimenti nella lotta al Califfato – è quello delle Crociate.
Mentre per la storiografia occidentale le Crociate rappresentano un evento di proporzioni bibliche, per la tradizione musulmana non rispecchiano un punto di svolta fondamentale. Bisognerebbe ascoltare entrambe le voci, quelle dei vinti e quelle dei vincitori, prima di poter trarre delle conclusioni oggettive. Il risultato di cotanta fretta potrebbe risultare devastante per le generazioni future.
Il ruolo della propaganda – e quello della censura – giocano un ruolo fondamentale all’interno della narrazione dei fatti. La storia è fin troppo piena di luoghi comuni ormai apparentemente irremovibili come – ad esempio – quello ben orchestrato sul negazionismo a proposito della tragedia delle foibe.
Oltre i luoghi comuni
Sono noti a tutti i crimini compiuti dai vinti e raramente si discute di quelli dei vincitori. Dal 1945 in poi, con la compiacenza dei protagonisti della conferenza di Jalta, si è venuto a creare un paradigma unico per la narrazione dei fatti avvenuti durante la seconda guerra mondiale. Purtroppo, nella versione ufficiale inculcataci sin dall’età infantile, si racconta ben poco degli avvenimenti realmente accaduti oppure si elucubra una parte di essi sfruttando ad hoc l’arte della propaganda.
Uno dei luoghi comuni più tetri e grotteschi riguarda la storia dei campi di concentramento. In pochissimi sanno che questa pratica brutale non risale all’inizio degli anni 40 del XX secolo, ma ad alcuni decenni prima. Un esempio sono i campi di concentramento spagnoli costruiti per domare l’insurrezione cubana del 1896 da parte del generale Valeriano Weyler, oppure quelli edificati nel 1899 dagli statunitensi contro i filippini e nel 1900 dagli inglesi contro i boeri.
Nei campi di concentramento gli inglesi deportarono circa 120mila civili di origine boera, i quali soffrirono terribilmente le penose condizioni alimentari e sanitarie. All’interno dei campi, soltanto nel 1901, moriranno 28mila uomini, donne, bambini e anziani. A questo numero si aggiungono le 14mila vittime dei campi separati per neri. Per gli inglesi la guerra contro i boeri doveva essere vinta ad ogni costo, anche con l’utilizzo di metodi così drastici.
Sono sicuramente più noti al pubblico i “gulag” fondati nel 1918 dal regime di Lenin in Russia. Questi tremendi campi di lavoro servirono per internare qualunque nemico o presunto tale del Partito. Chiunque venisse etichettato come “reazionario“, “borghese” o “controrivoluzionario” fu considerato meritevole di essere ridotto in schiavitù e ucciso. Altrettanto degna di menzione è la tremenda carestia indotta dalle politiche staliniane in Ucraina nota come “Holomodor“, nella quale morirono circa 3,5 milioni di persone.
I campi di concentramento per italiani in America
La storia dei campi di concentramento per italiani in America non è mai stata raccontata per come si dovrebbe. All’interno di questi campi era possibile trovare anche giapponesi e tedeschi per il solo fatto di essere tali. Nel 1942 oltre 600mila italiani residenti negli Stati Uniti divennero improvvisamente nemici pubblici. Furono internati, deportati o perseguitati. Chi ebbe la “fortuna” di non essere internato divenne oggetto di continue perquisizioni da parte della polizia politica.
Gli oggetti più ricercati furono le pistole, le radio ad onde corte, le macchine fotografiche e le torce elettriche. Nessuno poteva detenere questi manufatti. La vita degli italiani residenti in California cambiò tragicamente per via del “pericolo giapponese” proveniente da ovest. Oltre 100mila persone vennero private delle loro case e dei loro beni. I pescatori, ad esempio, subirono la confisca delle loro barche. Inoltre il governo californiano impose il coprifuoco alle ore 20.
Dopo l’invasione della Polonia da parte della Germania nazista, il presidente Roosevelt autorizzò il direttore dell’FBI John Hoover a stilare una lista dei soggetti da arrestare per garantire la sicurezza della nazione. Tale ordine riguardò i tedeschi e i loro “alleati” italiani e giapponesi. Ciò avvenne anche un anno prima dei fatti di Pearl Harbor. Difatti, nel 1940, l’FBI stilò alcuni elenchi con i nomi di possibili sabotatori e spie presenti in questi gruppi etnici.
Tra gli italiani c’erano soprattutto giornalisti, professori di lingua e uomini attivi nei gruppi dei reduci del primo conflitto mondiale. Dopo i fatti di Pearl Harbor, la polizia politica condusse 250 italiani nel campo di concentramento di Missoula nello stato del Montana. A Pittsburg, nella Bay Area, sede di Camp Stoneman, circa 2mila italiani subirono una vera e propria caccia all’uomo terminata con una deportazione di massa. Come già detto prima, una sorte analoga toccò anche ai nipponici e in misura minore ai tedeschi.
Considerazioni sui campi di concentramento americani
Gerald Ford fu il primo presidente americano ad annullare l'”order” di internamento e a chiedere perdono a Fred Korematsu, un’attivista che si oppose all’internamento dei nipponici-americani durante il secondo conflitto mondiale. Gli USA però continuarono a perpetrare la loro politica filo-negazionista fino al 2007. Soltanto durante la presidenza Reagan i nipponici ottennero un rimborso, il quale constò di 20.000 dollari per ciascun sopravvissuto.
Nel 1988 il Congresso passò e il presidente controfirmò un provvedimento in cui il governo degli USA si scusò ufficialmente per l’internamento. In tale documento si afferma che le azioni e le decisioni del governo si basarono su “pregiudizi razziali, isteria della guerra e mancanza di leadership politica“. Inoltre il governo statunitense ha speso, dalla presidenza Reagan in poi, quasi 1,6 miliardi di dollari per risarcire i nipponici sopravvissuti.
Diverso è stato il destino per gli italiani. Difatti i perseguitati non hanno mai ricevuto un risarcimento. Soltanto nel 2010, lo stato della California ha approvato una risoluzione chiedendo scusa per i maltrattamenti subiti dai 600.000 residenti di origini italiane. La fortuna dei perseguitati fu che il loro paese di residenza vinse la guerra piuttosto in fretta.
Se fosse accaduto il contrario, con una guerra lunga che, magari, avesse davvero visto un’offensiva sulle coste americane, è probabile che le persecuzioni avrebbero assunto livelli diversi, simili a quelli visti in Europa. Sta di fatto che il fenomeno persecutorio americano è passato in sordina rispetto a ciò che è avvenuto in Europa. Ancora una volta la propaganda dei vincitori ha funzionato nel modo giusto.
Dunque sta a noi sfondare la barriera della narrazione unica per arrivare a conoscere ogni sfaccettatura della storia, onde evitare di subire la solita paternale da parte dei vincitori, i quali si ergono giornalmente al ruolo di difensori dei valori sacri dell’umanità, quando in realtà non potrebbero.
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