Ogni anno, negli oceani, vengono abbandonate 640mila tonnellate di reti da pesca (fonte: Healthy Seas, 2017) e il dato è in aumento. Sono le cosiddette ‘reti fantasma’: perdute accidentalmente, trascinate a largo dalle mareggiate o, peggio ancora, abbandonate, continuano a catturare e uccidere pesci, inutilmente.
Ma non solo: con il tempo, colonizzate da microrganismi e appesantite, finiscono per appoggiarsi sui fondali soffocando ogni forma di vita.
E’ la storia del capodoglio Siso, rimasto impigliato in una rete e morto per lo stremo e che oggi si ripete con un capodoglio più grande, al largo di Salina, seguito dal biologo Carmelo Isgrò, l’Ong Sea Sheperd e dalla Guardia Costiera, da giorni sofferente a causa di una rete enorme che si è impigliata nella sua enorme coda. L’animale è sofferente a causa delle lacerazioni e non si fa aiutare perché nervoso e impaurito.
Una situazione che sta lentamente uccidendo i nostri mari, quella legata all’abbandono delle reti illegali e non. Servono pene più severe e maggiori controlli perché nel 2020, con tutte le campagne di sensibilizzazione promosse, è insostenibile un modello di pesca così pericoloso per il nostro mare.
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