Il Sessantotto del Sud passò dai moti di Reggio Calabria

Quando si sposta la capitale

Nei grandi processi storici che hanno visto il Mezzogiorno d’Italia come protagonista, il trasferimento della capitale ha sempre destato vespri, moti e tentativi rivoluzionari. Basti pensare al periodo degli Angiò alla corte del Regnum Siciliae, durante il quale Carlo d’Angiò trasferì la capitale da Palermo a Napoli, suscitando le ire dei grandi baroni dell’isola. Ciò avvenne nel XIII secolo, mentre i Moti di Reggio soltanto cinquant’anni fa.

I Vespri siciliani hanno altre motivazioni rispetto al solo spostamento della capitale testé definito. I Moti di Reggio nacquero proprio per lo spostamento del capoluogo di regione a Catanzaro. Fu la rivolta più lunga della nostra storia repubblicana. A causa di essa molte persone perirono, lasciando una ferita insanabile nel cuore dei reggini e non solo. Inoltre ai Moti di Reggio si ricollega la strage sul treno del Sole ancora permeata dal mistero.

La rivolta di Reggio fu la prima contro le Regioni, difatti esplose proprio nell’anno in cui esse nascevano. Fu l’ultima rivolta del Sud, prima che il suo popolo si consegnasse ad una ristagnante apatia. Probabilmente è stata la prima e l’ultima volta nella quale i cittadini italiani sono scesi per strada contro i carri armati, anticipando piazza Tienanmen. Altresì fu l’ultima rivolta popolare capeggiata dalla Destra rivoluzionaria, nazionalpopolare e sindacalista obliqua al MSI.

Ancora analogie: Fiume e Reggio Calabria

Non vi parteciparono soltanto esponenti di diversi partiti, ma anche militanti delle formazioni di estrema destra e di estrema sinistra. Mezzo secolo prima era accaduta la stessa situazione a Fiume. La sinistra rivoluzionaria di Antonio Gramsci si unì difatti al movimento nazionalista e interventista di D’Annunzio. Proprio il poeta Vate fu il simbolo della rivolta con la celebre frase: “Boia chi molla“.

Non fu di certo una Vandea, i tratti non erano cattolici e reazionari, nobiliari e contadini delle jacquerie contro i rivoluzionari, anche perché la rivolta scoppiò in città e non nelle campagne. Il giorno scelto non era di certo frutto del caso: era il 14 luglio 1970. I nemici, per gli insorti di Reggio, non erano di certo i rivoluzionari demolitori della Bastiglia, bensì dei moderati rappresentanti la stagnazione e il conformismo.

Ciccio Franco ne fu il leader più popolare. In un certo senso, il dirigente reggino del MSI fu il Masaniello di Reggio in salsa sindacale. La ribellione di Reggio dimostrò come il trasferimento dei poteri – a livello locale – possa creare dei conflitti interni per l’egemonia territoriale. A Reggio si dimostrò come la riforma delle Regioni stesse smantellando l’Italia dei prefetti e dello Stato centrale.

Dopo i Moti di Reggio Calabria del 1970? Il nulla

Con le Regioni si accelerò in Italia la crisi della democrazia e della repubblica. Le istituzioni pubbliche si allontanarono dal popolo e viceversa. Dopo la rivolta studentesca del ’68 e l’autunno sindacale del ’69, i Moti di Reggio furono la terza rivolta nella quale i protagonisti divennero le periferie, ingrediente principale della polveriera meridionale. Dopo Reggio, il nulla più assoluto. Il Meridione tacque e tace tutt’ora.

La rivolta venne sedata in modo violento da un governo moderato, guidato dal democristiano Colombo. Lo stesso Colombo si ritiene ancora soddisfatto dell’invio dei carri armati sul lungomare reggino. Parecchi furono i morti civili, ma anche tra le forze dell’ordine. Misteriosa è la fine dei cinque anarchici uccisi mentre si stavano recando a Roma per consegnare materiale di denuncia.

In quella calda estate del 1970 si spezzò definitivamente il legame già precario tra il Sud e lo Stato e si acuì il degrado calabrese. Quest’ultimo venne ulteriormente aggravato dai folli insediamenti industriali della piana di Gioia Tauro. Nel 1970 si vide per l’ultima volta quel Sud convinto di sovvertire il sistema con le barricate, gli scontri e gli slogan. Adesso non vi è rimasto più nulla. Anzi, quell’eredità si è involuta nel clientelismo, nei clan e nelle defezioni.

Dopo la protesta venne l’omertà. Dopo la rivolta, il Sud cadde in letargo. 


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