Festa della donna, quando lo sciopero profumava di gelsomino

Festa della Donna 2020. Alcune immagini a tinte rosa ci consentono di ripercorrere le tappe del lavoro femminile a Milazzo e dintorni. La prima è quella scattata alla Tonnara del Tono tra maggio e giugno 1958. Alcune circostanze fortuite hanno consentito di identificare le lavoratrici raffigurate e le loro storie, a partire dalla ragazza, che si è rivelata più giovane di quanto possa sembrare nella foto. Nina Foti qui aveva appena 14 anni.

Abitava al Tono, qualche giovanotto che le ronzava attorno ed una famiglia numerosa da aiutare. Le pressioni all’anziano marchese D’Amico pur di ottenere qualche mese di lavoro per la propria figlioletta erano dettate dall’esigenza di arrotondare il magro budget familiare in un’epoca dominata dagli stenti e dalle privazioni: nessuna meraviglia dunque se questa oggi è l’unica foto che ritrae Nina da giovane.

Fu destinata al reparto inscatolamento dello Stabilimento della Tonnara del Tono, affiancata da altre donne tunìsi, alcune al servizio dei Calapaj e dei marchesi D’Amico da lungo tempo. È il caso di donn’Anciula Ullo, classe 1911, raffigurata accanto a Nina. Ma a differenza di Nina al lavoro nello Stabilimento già ad 8 anni. Il lavoro delle donne in Tonnara era sottoposto al rigido controllo della caporàla, che vigilava persino sul ciclo mestruale delle singole dipendenti.

Fatiche in rosa, come quelle delle raccoglitrici di gelsomino e delle loro coraggiose battaglie sindacali. A coordinare le rivendicazioni delle agguerrite gelsominaie – alcune di loro conobbero persino la camera di sicurezza – fu il comunista milazzese Tindaro La Rosa (1924-2003), che nel 1946 organizzò il primo sciopero. Sino ad allora ciascuna donna percepiva per ogni chilogrammo di fiore raccolto, quantitativo corrispondente ad oltre 6.000 gelsomini, appena 25 lire: non bastavano nemmeno per comprare un chilo di pane.

La raccolta era dura e faticosa ed iniziava nella notte per continuare sino alle prime luci dell’alba. Non tutte riuscivano a farcela, qualcuna spesso sveniva. «Ma un giorno le raccoglitrici incrociarono le braccia e fecero cadere a terra il gelsomino delicato, che il sole appassì e fece nero», così avrebbe narrato Vincenzo Consolo decenni dopo. Grazie all’opera energica e battagliera del La Rosa, il salario riuscì a lievitare sino alle 50 lire al kg. Il successo valse allo stesso La Rosa una bella bicicletta, offertagli in dono dalle gelsominaie. Fu il primo di una lunga serie di scioperi che attirarono l’attenzione della stampa nazionale ed estera e che continuarono periodicamente sino agli anni Sessanta, quando il numero delle raccoglitrici ascendeva a circa 2.500 unità.

Foto a tinte rosa che tradiscono in qualche caso un’efficiente organizzazione del lavoro. Come quella che raffigura la bella Crocifissa Caravello intenta nel laboratorio di contrada Gelso a confezionare in elegantissima carta-pizzo le uve precoci da tavola destinate ai mercati tedeschi. Lungo i  banchi da lavoro si fronteggiavano le nettatrici, operaie sedute addette alla pulitura e selezione dei grappoli d’uva e le operaie imballatrici intente invece al confezionamento-imballaggio degli stessi grappoli entro cassettine tronco-piramidali (gabbiette), a loro volta abbellite da elegante carta-pizzo stampata in lingua tedesca.

Un’organizzazione del lavoro precisa ed ordinata (il laboratorio di Gelso disponeva persino di latrine) avviata agli inizi del Novecento previo corso di formazione delle operaie con tecnici specializzati venuti appositamente dal Nord Italia: merito dell’imprenditore milazzese Giuseppe Zirilli Lucifero (1844-1907), scomparso prematuramente dopo aver preso contatti con la Cirio per tentare di lanciare la produzione viticola ed ortofrutticola milazzese ad alto livello. Un organizzazione che sarebbe continuata sino agli anni Settanta del Novecento, quando all’imballaggio delle uve precoci si affiancò quello di pomodori e lattughe destinati ai mercati del Nord Europa.

«In parecchie eravamo di Santa Lucia del Mela», ricorda Carmela Papale, classe 1944, che aggiunge: «iniziai a lavorare presso un esportatore di Milazzo quando avevo appena 9 anni. Alle 5,00 del mattino qualche camioncino veniva puntualmente a prenderci per trasportarci sino a Milazzo, al posto di lavoro: donne e uomini viaggiavamo tutti insieme, in piedi, sul cassone del camion. Quello stesso camioncino ci avrebbe riportato a casa nel tardo pomeriggio. A volte, quando era necessario completare il carico di un vagone ferroviario, rincasavamo anche alle 11,00 della sera. Noi donne provvedevamo alla selezione del pomodoro a mezzo di tavolette di calibratura, alla sua pulitura, all’imballaggio ed anche al carico delle cassettine appena imballate sul camion diretto alla stazione ferroviaria».

Storie di donne che spesso dovettero subire gli abusi degli esportatori, i quali non sempre riconoscevano appieno i loro diritti, strenuamente difesi in tempi a noi più recenti da una giovanissima ed agguerrita Carmen Manna, giovane sindacalista formatasi sulla scia di Tindaro La Rosa e vittima, proprio in virtù di queste sue battaglie rivolte anche all’emancipazione femminile, di non pochi pregiudizi.


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