Coronavirus: quali Stati non hanno ancora dichiarato alcun caso?

Corea del Nord

La Corea del Nord non ha ancora dichiarato alcun caso. Uno dei regimi più oppressivi del pianeta continua a mantenere il segreto sulla presenza di probabili contagi da Covid-19. La Repubblica di Corea, poco più a sud, conta invece 3.591 casi e 183 vittime. È difficile immaginare che il regime di Kim Jong-un non sia stato colpito dal Coronavirus che imperversa in tutto il mondo.

Di certo la Corea del Nord è uno stato quasi inaccessibile. Per potervi entrare è necessario un visto da richiedere parecchio tempo prima del viaggio. Non si può entrare nel paese dalla Corea del Sud, ma si può arrivare a Pyongyang tramite dei voli provenienti da Vladivostok, Pechino e Shenyang. Si può utilizzare anche il treno da Pechino per arrivare a Pyongyang in 24 ore, ma come nel caso dei voli i controlli sono ferrei ed è necessario un visto richiesto in netto anticipo.

Ieri la Corea del Nord ha fatto sapere che non vi sono casi di Coronavirus nel suo paese. Secondo l’esperto nordcoreano Oliver Hotham, di NK News, i contagiati ci sono, ma i numeri non sono elevati. Il paese di Kim Jong-un ha effettivamente reagito molto più rapidamente di certi paesi per via della sua vicinanza con la Cina. Sicuramente è stata evitata un’epidemia. Secondo l’ultimo rapporto di NK News sono 500 le persone attualmente in quarantena.

Durante il corso della giornata, l’istituto della propaganda del regime nord coreano continua a informare i cittadini sui progressi compiuti contro il Covid-19. In Corea del Nord “va tutto bene“, forse.

Il doppio dramma yemenita: la guerra e il Covid-19

Abdulrahman Jaloud, direttore di “Yemeni Archive“, è convinto che se il Covid-19 dovesse arrivare nello Yemen si tratterebbe della catastrofe del secolo. Si registrano scene di panico per possibile contagio da parte di medici e infermieri, oltre che di famiglie. Non vi sono ancora dei casi di Covid-19, ma altresì è già in corso un’epidemia di colera e vi sono numerose patologie legate alla povertà, alla malnutrizione e alla condizione di sfollati.

3,2 milioni di yeminiti su 25 milioni totali necessitano di un trattamento per malnutrizione acuta. Inoltre gli attacchi della coalizione saudita e delle forze Houthi stanno distruggendo gli ospedali yemeniti. Il “cessate il fuoco” non è stato ascoltato dalle forze in campo e metà dei nosocomi risultano inagibili a causa delle devastazioni belliche. C’è da ricordare che i lavoratori yemeniti guadagnano la loro fonte di reddito tramite lavori che svolgono fuori dalla loro casa.

Dunque una quarantena sarebbe un’ulteriore mazzata per la loro economia già parecchio devastata dalla guerra in corso. Se il virus dovesse diffondersi, i cittadini si ritroverebbero di fronte ad una scelta: o morire di fame per mancanza di danaro o recarsi nel proprio luogo di lavoro e rischiare il contagio.

Il termine “Coronavirus” non esiste in Turkmenistan

Il termine “Coronavirus” non esiste in Turkmenistan, poiché è stato bandito dal presidente-tiranno Gurbanguly Berdymukhammedov anche dai volantini informativi negli ospedali. Non vi sono casi di contagio nel suo paese e la parola “Coronavirus” non si deve nemmeno nominare ad alta voce. Il Turkmenistan è l‘ultimo paese al mondo per la libertà di stampa, addirittura sotto al rinomato regime di Kim Jong-un.

L’unica cosa che si vede in televisione è il “boss” che canta canzoni da lui scritte per celebrare se stesso e il suo Stato.  Il Covid-19 non si fa scrupoli di nessuno. La propaganda turkmena potrà continuare all’infinito a raccontare le sue bugie, ma di fronte a questa pandemia nessuno è realmente invincibile. Coloro che indossano le mascherine o parlano di Covid-19 in pubblico possono essere arrestati da poliziotti in borghese.

Lo scorso 13 marzo il presidente ha ordinato la fumigazione dei luoghi pubblici tramite una pianta tradizionale chiamata “Harmala“.

Coronavirus? No, meglio la Supercoppa!

In Tagikistan la vita scorre come se nulla stesse accadendo nel resto del mondo. Non vi sono casi registrati dalle autorità locali, ma non dimentichiamo che il Tagikistan confina con la Cina che sta rientrando nell’incubo della quarantena. Secondo il presidente tagico Emomali Rahmon, i suoi connazionali sono in una botte di ferro: “Rispettano gli standard sanitari e puliscono giornalmente la loro casa“.

Le gare del campionato tagico si sono giocate a porte chiuse, ma ciò appare come un controsenso. Difatti dodici giorni fa si è celebrato il Nowruz (il Capodanno persiano) con grandi feste a base di balli, cucina tradizionale, marce e fuochi d’artificio. Dunque si sono venuti a formare degli enormi assembramenti, i quali sono vietati dalle direttive dell’OMS. Anche il campionato di basket va avanti come se nulla fosse.

Il paese ha chiesto a tutti coloro che provengono da Stati colpiti dal Covid-19 di mettersi in quarantena. Nel frattempo i negozi continuano a rimanere aperti, gli autobus sono affollati così come le moschee. Prima Rahmon aveva deciso di chiuderle, poi ha cambiato idea e ha riaperto l’intero paese. Probabilmente ciò che è successo nel calcio tagico ha, in realtà, uno scopo orientato verso l’acquisizione di numerosi diritti televisivi.

Difatti si tratterebbe dell’unico campionato ancora attivo mentre nel mondo il pallone non rotola più. Questo sospetto è stato successivamente confermato da un dirigente della Federcalcio tagica.


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