Al Nord aumentano i contagi, al Sud rallentano: il volto delle due Italie

Al Sud diminuiscono i contagi e i decessi, al Nord accade il contrario. Un eccesso di mortalità, cioè più decessi di quelli che erano attesi osservando l’andamento degli ultimi cinque anni. In due città della Lombardia in poco più di un mese si osserva, andando a vedere i registri delle anagrafi dei Comuni, un forte aumento. Percentualmente il dato più alto riguarda Brescia, dove le morti sono state il 195% in più. Significa che analizzando 36 giorni, fino al primo aprile sono decedute in tutto 550 persone invece delle 170 attese. La differenza è di 331.

In tutto, nella metropoli hanno infatti perso la vita in 2.426 invece che in 1.299 come dicevano le stime.

Se si fa il confronto di tutte le città del Nord studiate rispetto a quelle del Centro-Sud si osserva che l’aumento è stato del 65% (2.821 morti) contro il 10% (398).

 

I più colpiti? Gli ultra-ottantenni

“Nell’ultima settimana presa in considerazione – scrivono i fautori dello studio, il dipartimento di epidemiologia del Lazio – si osserva un rallentamento della curva di decessi settimanali. Tale rallentamento sembra ascrivibile soprattutto ai decessi nelle classi di età 65-74 e 75-84. Solo nella classe di età sopra gli 85 anni i decessi sono in ulteriore aumento”. Riguardo al genere, i numeri confermano il ruolo del coronavirus nell’aumento. “L’incremento di mortalità è pari all’82% negli uomini e  al 57% nelle donne al Nord”.

 

Le due Italie a confronto

I risultati, pubblicati ieri su Repubblica ci raccontano di due Italie diverse: un Centro-Sud dove i contagi diminuiscono e un Nord dove invece aumentano esponenzialmente anche le morti. In Sicilia per esempio – secondo molti una delle Regioni che uscirà dall’emergenza per prima – la curva dei contagi è diminuita tanto che in alcune province, sottraendo il numero dei guariti, da giorni ormai si tocca quota zero, quindi, pochissimi nuovi contagi in più.

 

La spiegazione di Harvard

Il tasso di inquinamento. La notizia era “nell’aria” nel senso che da settimane si parlava di una possibile correlazione tra fattore inquinante e tasso di mortalità del virus. Lo studio che lo conferma arriva dagli Stati Uniti, dove il coronavirus sta facendo molte vittime “incontrollate” e fuori dalle stime. In un’analisi di 3.080 contee negli Stati Uniti, i ricercatori della TH Chan School of Public Health dell’Università di Harvard hanno scoperto che livelli più elevati di particelle minuscole e pericolose nell’aria conosciute come pm 2.5 erano associati a tassi di mortalità più elevati causati dalla malattia. Certo non serviva Harvard per capire che se vivi in posti inquinati i tuoi polmoni saranno “più deboli” rispetto alle aggressioni di virus alieni.

 

La questione clima

C’è anche il collegamento con il clima, ne abbiamo parlato diverse volte sul giornale. In effetti funziona come l’influenza stagionale: il caldo diminuisce la probabilità di ammalarsi. Ecco spiegato perché Nord e Sud sono così distanti nella gestione dell’emergenza da Coronavirus. La domanda che ne consegue è però una: perché allora pianificare gli stessi strumenti per tutte le parti d’Italia quando è evidente che solo una parte sta vivendo questa emergenza con numeri esponenziali?


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